Magasin du Café presentano SHARDANA
https://open.spotify.com/album/1DEkAbut8ETPp3PhKFIoep?si=wsRVZG2nRVaui8nHk1j0pg
Nel nuovo album i Magasin du
Café inseriscono come elemento di novità alcuni testi per spiegare meglio il
concetto culturale che sta dietro alle loro creazioni musicali, contrariamente
agli album precedenti in cui la voce era usata come uno strumento musicale.
La storia raccontata è quella
di un guerriero Shardana che parte dalla Sardegna, partecipa alle campagne di
pirateria ai danni dell’Egitto, si offre come guardia personale di Ramses II,
partecipa alla battaglia di Qadesh. Vivendo a corte scopre l’enorme sapienza
sacra ed esoterica dell’Antico Egitto, entrando in rapporti di rispetto con
sacerdoti e aristocratici. Queste nuove conoscenze lo spingono a ricercare le
sue origini, le origini dell’essere umano e degli Dei. In un viaggio di
unificazione, per tornare a dove tutto è iniziato, parte per raggiungere
l’estremo Nord, verso quella che i Greci chiameranno migliaia di anni dopo
Hyperborea.
L’album ha sonorità che
richiamano il prog rock, il post rock e la world music. L’elettronica regala
ritmo e un sound a tratti ipnotico, così come le voci con sonorità ancestrali
degli antichi sardi e le armonie dell’Oriente.
Ancora una volta l’emozione è
al centro delle composizioni, stavolta unita ad un concetto originale e poco
esplorato: l’origine preistorica del nostro mondo, fatta di lotte, amori,
scoperte. Temi modernissimi e universali.
La
Band
I Magasin du Café sono l’essenza della
World Music in chiave moderna. Amano suonare in luoghi incontaminati nella
natura (laghi di montagna, fiumi, boschi, spiagge, foreste). Hanno creato dal
2020 un format di concerti alimentati da una bicicletta ed illuminati da
candele. I loro concerti sono un’esperienza ancestrale, da vivere lasciandosi
andare a quello che loro stessi chiamano flow. La voce ed la ritmica di questa
band vengono dalla Sardegna, dove migliaia di anni fa vivevano i Popoli del
mare “Shardana”. Popoli che non appartenevano a nessun regno, a nessuna
dinastia, ma semplicemente appartenevano al mare. Un omaggio alla natura, alla
vita, alla libertà.
I loro concerti sono meditativi e
spesso riescono a portare il pubblico in uno stato quasi ipnotico. Musica che
ci parla di tradizioni lontane, in cui il grande Nord si mescola con l'Oriente,
in cui i canti sciamanici dell'America e dell'Africa diventano moderni. Il sound
è universale, i suoni sono esotici ma senza connotazione geografica, si
mescolano al rock, al folk, all’elettronica, in un dialogo inedito tra i cinque
musicisti.
Il Concept
Gli Shardana (o Sherden) erano uno dei
Popoli del Mare, famosi per essere stati la guardia personale di Ramses II, uno
dei faraoni più influenti di tutti i tempi. La loro grandiosità in battaglia si
intuisce dai pochi scritti trovati dagli archeologi, ma gli storici più attenti
hanno trovato le loro tracce in tutto il Mediterraneo, il Baltico e perfino
l’Africa del Sud. Tracce di manufatti, bronzetti nuragici, armi, monumenti di
pietra imponenti, bassorilievi e miniere.
Sembra ormai assodato che la Sardegna
abbia preso il suo nome da questo popolo, di cui non si conosce ancora l’origine.
Da qui deriverebbe il mistero del popolo sardo e della sua nascita, ma
soprattutto il mistero della sua unicità. Sembra che gli Shardana abbiano avuto
contatti intensi con popoli del nord e mediorientali, talmente profondi e
ricorrenti da rendere difficile capire da dove tutto sia partito.
Per
noi, Shardana è un concetto che ha ribaltato tutto quello che conoscevamo della
nostra storia e del nostro presente. È un tornare alle origini, è scoprire che
già migliaia di anni fa, prima della scrittura, le genti si mischiavano,
lottavano per i territori, commerciavano ed esploravano.
L’INTERVISTA
Come avete
scoperto il mondo di Shardana?
“Shardana” è un modo
per chiamare in lingua moderna uno dei Popoli del Mare, che sembra ormai certo
avessero base anche nell’isola Sardegna. Questi popoli hanno un’origine per noi
misteriosa, hanno vissuto nel mediterraneo di almeno 5000 anni fa, cambiandolo
profondamente con i loro commerci, l’artigianato, l’arte e le guerre a cui
prendevano parte. Sono stati guardia personale di Ramses II, uno dei faraoni
più leggendari di tutti i tempi. Gli salvarono la vita in almeno un’occasione e
vengono definiti da lui stesso “imbattibili”. Sono storie antiche tramandate
dai genitori di Alberto e Mattia nei racconti di infanzia. Un moto di orgoglio
primordiale che abbiamo sentito anche in questi anni, tramite laviche di
artigiani e storici che abbiamo incontrato durante i concerti in terra sarda.
Abbiamo unito
queste suggestioni in un disco di epica guerriera e che parla di una grande
curiosità per un mondo antico e sconosciuto.
Quanto è
importante la Sardegna in questo percorso musicale?
La Sardegna è la
terra di origine di Alberto e Mattia, ma anche una delle nostre seconde case di
tour estivi tra palchi e musica di strada. Sentiamo l’attitudine dei guerrieri
Shardana nel modo di fare degli isolani. Si avvertono in questa terra un
mistero e una magia che sono unici. Esiste il "mal di Sardegna” per alcuni
di noi. E poi ci sono tutte le influenze musicali e culturali che si perdono
nella notte dei tempi, con strumenti antichissimi che hanno resistito al
passare dei millenni. I canti sardi, le melodie che si collegano alla musica del
nord Europa, le launeddas… tutto ha contribuito a dare una voce organica alla
nostra musica e alle nostre suggestioni.
Possiamo
definire Shardana un concept album?
Lo è assolutamente,
sia dal punto di vista tecnico-musicale, sia per le tematiche dei testi. Alcuni
brani sono dei manifesti di appartenenza culturale, in cui l’orgoglio per la
propria terra si fonde con la curiosità dell'antico e dell’incontro tra popoli.
Sempre per ritrovare parti di sé e le proprie origini, mai per fare un viaggio
fine a se stesso o per rispondere ai nuovi dettami del politically correct.
Uscendo dal concetto letterario e parlando di musica, nonostante la varietà di
melodie e di sonorità, si sente un suono unitario che abbiamo cercato per due
anni di lavorazione in studio, dal vivoi e nelle ricerche dirette in
terra sarda. Abbiamo unito il vissuto musicale di ognuno di noi alle interviste
con storici, artigiani e artisti sardi, durate intere settimane nei primi mesi
del 2022.
Nelle note
introduttive avete definito il vostro stile “universal music”.. Me ne vuoi
parlare?
Una definizione
anomala, abbiamo sempre fatto fatica a definire la nostra musica, come se ogni
genere non bastasse a parlare al pubblico di cosa si sarebbero trovati di
fronte. Facciamo rock, con chiare influenze prog, ma anche world music, folk,
inseriamo la musica elettronica. Come possiamo definire questo se non come
“universale”?
Ci sono degli
artisti o dei generi musicali che vi hanno influenzato nella realizzazione del
disco?
Di certo i grandi compositori
di colonne sonore, dato che veniamo dalla musica puramente strumentale e questo
è il nostro primo esperimento con le parole. Citiamo Yann Tiersen, Philip
Glass, Hans Zimmer. Band come Sigur Ros, Ulver, Tool… Il jazz di Favata e
Ibrahim Maalouf. Le sonorità dilatate dei Pink Floyd e della scuola di
Canterbury, il folk che abbiamo ascoltato in anni di musica di strada, tra
Francia, Germania e sud Italia. Soprattutto ci leghiamo ai concetti espressi
nei libri di Leonardo Melis, sommo studioso del popolo Shardana, insieme a
Felice Vinci, alcune pubblicazioni di Guenon e di Evola sulla Tradizione. Il
libro dei Morti egiziano ci ha ispirato tanto quanto la musica fatta e
ascoltata da trent’anni a questa parte.
Vedo che avete
già fatto un album diciamo “mistico” come Samsara. Quali pensi siano le
differenze?
Samsara era solo
strumentale, un viaggio composto da molte fermate. Ogni brano era un film. Con
Shardana invece siamo stati più compatti, con un pensiero fisso che ha fatto da
collante a musica, testi e grafica. Il brano “Samsara” ha aperto una strada
nuova per noi, aperta al mondo e all’energia dei grandi festival di world
music. É stato uno dei brani più importanti della nostra carriera, nato in
poche ore come fosse stato un bisogno. Bisogno di comunicare la nostra gioia e
il nostro orgoglio di far parte di questo mondo, che ha radici lontanissime.
Ho letto che i
vostri concerti sono tutti a impatto zero. Mi spieghi come funziona?
A impatto zero… beh
è una forzatura dire questo. Di sicuro cerchiamo di diventare più autonomi
possibile per dare energia agli spettacoli, parliamo di quelli con accumulatori
portatili e una bici che li tiene carichi con la pedalata di volontari tra il pubblico.
Spesso ci è capitato di perdere energia e terminare il concerto perché nessuno
ha pedalato, son rischi da mettere in conto. É un modo per sensibilizzare
all’autoproduzione e al consumo critico, più che all’ecologismo di facciata di
questi anni, in cui tante band si sono risvegliate ecologiste di punto in
bianco. Il nostro “concerto a pedali” non ha pretese di salvare il mondo, ma
offre un punto di vista sul vivere sano e su un rapporto con la natura più
responsabile. Quando si penserà all’uomo e alla natura come una cosa sola si
farà il salto di coscienza, oggi tutto questo manca, tra chi pensa che la
natura sia da sfruttare e chi pensa che dovremmo estinguerci per preservare gli
alberi.
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