martedì 11 giugno 2024

 RUSTY BRASS – INCISIONI BARBARICHE (autoproduzione)

https://open.spotify.com/intl-it/album/43AWAyJfoQGbokM3TnbZxL?si=ax5iVbV_SQuqWlUFyaPB8A

 

Incisioni barbariche è l'esordio discografico dei Rusty Brass, formazione pan-bresciana forte di 3 trombe, 2 tromboni, bassotuba  e basso elettrico, batteria e percussioni.

L'inizio è travolgente, fedele al titolo: una primitiva nebbia sonora da cui si dipana, misterioso e carico di tensione, il canto di una tromba, che scatena l'orda barbarica; ma non è il momento del saccheggio o della battaglia, è la festa, è la danza, è la disco, è Longoparty.

La seconda traccia, Sagai, innesta su un inesorabile funk il testo programmatico - e labirintico: "È arrivato il momento in cui si canta/solo che non so di che parlare/ti dirò, la strumentale non mi stanca/e non ho voglia di cantare". Alla formazione di ottoni si affianca, in Marcia dei vinti, il suono del vibrafono di Olmo Chittò, che allaccia elegantemente le due parti del brano: una marcia dal carattere dimesso ed un reggae orientaleggiante che suona come una redenzione. È poi il turno di Andrew, rielaborazione in chiave New Orleans (con derive balcaniche) della celebre 'Andrea', fedele resa della parata di strada arricchita dal sax di Luca  Ceribelli e dalla batteria di Nanni Gaias. 

Pezzo X è l'introduzione cupa, monologante e teatrale della traccia seguente: Iron Rage, ruggito arrugginito che aggredisce l'ascoltatore e sgomenta tra rap, trombe mariachi, dialetto bresciano e strepiti barbarici. Subito dopo O.O, poesia luminosa che da un tema sereno e semplice culmina nel canto dell'intera band e torna dolcemente alla calma, dimostrando tutta la duttilità degli ottoni. 

La traccia seguente si apre con una descrizione d'altri tempi dei Rusty Brass, un manifesto a dire il vero un po' ingiallito del concerto che inizia subito dopo: Scherzo finito male. Ma la musica incalzante ed il ritmo sono interrotti da chi in strada pretende la quiete: 'Ma la volete finire? La piantate con quel megafono? Ma state ancora suonando?'. Chi avrà l'ultima parola?

Il disco si era aperto con la disco longobarda, e si chiude col funk bresciano (anche detto fànc, cioè fango) di Chei de là del fos (Quelli di là dal fosso: i rivali). Una sassaiola di note, nessun ferito, tutti ballano e rotolano nel funk, dimenticando i confini spazio-mentali che ci separano.

 

 

L’intervista



Come è nato questo disco? Avete una vostra saletta dove andate a provare costantemente o andate in studi di registrazione? 

L’idea del disco è nata un po’ dal fatto che avevamo dei brani originali che portavamo in giro (oltre ai due singoli che avevamo già pubblicato) e volevamo cogliere la palla al balzo per darci una sorta di “legittimità artistica” e per promuovere meglio la nostra musica, rendendola fruibile in ogni momento dagli ascoltatori. 

Solitamente facciamo prove alla sede della banda di Brescia con cadenza quasi settimanale durante la “bassa stagione”, in mancanza di quella sfruttiamo la sede della banda di Rezzato, un comune limitrofo; soprattutto quest’ultima ha un’acustica abbastanza secca ed isolata per fare delle registrazioni (abbiamo in mente di registrare il nuovo album in modalità live studio). 

Riuscite a vivere di musica? Se non è così, qual è l’esperienza lavorativa che più ti ha segnato fino ad ora? 

Praticamente molti di noi hanno altre occupazioni più o meno stabili -c’è chi lavora, chi studia, chi tutti e due- come cuscinetto, però la nostra attività concertistica si sta intensificando e sta diventando più remunerativa, soprattutto in “alta stagione”, permettendo di ripagare lo sforzo fatto in preparazione dell’estate e di aumentare la quota del nostro “vivere di musica” in generale. 

Ogni esperienza che facciamo contribuisce a migliorarci un po’, rendendoci più malleabili e adattabili per andare incontro alle esigenze del pubblico e del contesto, ma un’esperienza che ci ha segnato in particolare è quella col regista teatrale Mario Gumina, allievo del mimo Marcel Marceau: oltre ad aiutarci a creare uno spettacolo di teatro urbano (con cui abbiamo vinto il festival Imaginarius in Portogallo nel 2023), ci ha aiutato a rompere le barriere tra noi e il pubblico, rendendoci più sicuri e sfacciati, buttando via definitivamente i leggii. 

Invece quella mai fatta e che ti piacerebbe fare? 

Là fuori ci sono un sacco di esperienze musicali (festival jazz, concerti su palchi importanti,...) che non vediamo l’ora di fare. 

Il pezzo che amate di più del disco? 

È come chiedere se si vuole più bene alla mamma o al papà; scherzi a parte, ognuno ha i propri gusti e le proprie preferenze, e il nostro album da questo punto di vista prova di soddisfare un po’ tutti, dato che contiene svariati stili, non soltanto tra i diversi brani ma anche all’interno di uno stesso brano. 

Qual è l’artista che maggiormente ti ha inspirato? 

Nella nostra fase iniziale eravamo principalmente una cover band dei NoBs Brass Band, un gruppo statunitense che sa coniugare magistralmente dei fiati di formazione jazzistica con un batterista hard rock-metal; con le sue sonorità pesanti e grintose ci ha dato un bell’imprinting, nell’ottica sia di tirare fuori e creare un nostro timbro caratteristico e travolgente, sia di ispirarci per comporre brani originali con stili diversi. 

Sapresti consigliare un lavoro uscito negli ultimi 5 anni che ritenete veramente degno di nota? Perché? 

Ce ne sono davvero tanti; restando in ambito ottoni, uno che spicca è l’album “S3NS” di Ibrahim Maalouf, uscito nel 2019. Maalouf è un trombettista libanese naturalizzato francese, tra i più influenti del nostro tempo per il suo virtuosismo e per la sua poliedricità, essendo capace di padroneggiare un sacco di generi (dalla musica classica a quella araba, passando per quella moderna). Forse avete già sentito alcuni tra i suoi brani più riusciti, “True Sorry” e “Una Rosa Blanca”, quest’ultimo presente in “S3NS”, che è un omaggio alla musica latino-americana. 

Progetti futuri? Farete un tour? 

Abbiamo da poco concluso una trasferta per un festival di teatro di strada a Santa Maria da Feira vicino a Porto, in Portogallo (l’anno scorso avevamo partecipato e avevamo vinto il relativo concorso, vincendo la residenza artistica per quest’anno); abbiamo in programma di partecipare per il secondo anno di fila al festival jazz organizzato da Paolo Fresu a Berchidda, in Sardegna; nel frattempo vari altri mini-tour più o meno lontani; stiamo cominciando a portare in giro nuovi brani originali, li registreremo una volta calmate le acque di questa stagione estiva. 

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